Brevi cenni sul periodo storico e le origini del tempio shao lin
Il convento di Siu Lam aveva avuto una storia molto particolare.
Nel 1844, una rivolta guidata da un nobile Li Zi-Cheng e da un generale “Wu San-Gui, aveva portato alla deposizione dell’ultimo imperatore Ming, Chong Zheng, che pose fine ai suoi giorni impiccandosi nella “città proibita”. Più tardi i capi degl’insorti entrarono in contrasto per motivi privati, forse per il possesso di una concubina. Uscito sconfitto dalla contesa, Wu San-Gui decise di consegnarsi con le sue truppe agli alleati Manciù, che avevano sostenuto i ribelli contro i Ming. I Manciù, popolo siberiano di stirpi Tungusa, avevano, tempo addietro, fondato un potente stato, la manciuria, nelle attuali province cinesi di Hei Long-Jiang, Ji-Lin e Liao-Ning. Forti di un esercito ben organizzato, conservavano, però, costumanze brutali ed arretrate. da sempre anelavano alla conquista della Cina e l’inaspettato aiuto promesso loro da Wu San-Gui, rappresentò l’occasione per realizzare il progetto d’invasione. Infatti, liquidato Li Zi-Cheng, sul trono cinese fu posto l’imperatore della Manciuria, Ai-Sin Gio-ro Fu Lin, che, all’epoca aveva solo sette anni; il potere effettivo passò allo zio del sovrano, l’energico Dor-Gon. S’inaugurava per la Cina, l’epoca della dominazione Mancase, che sotto la dinastia “Qing”, durò fino al 1912.
I Manciù imposero ai loro sudditi cinesi non soltanto leggi durissime e fortemente discriminative sul piano etnico (ai cinesi veniva, di fatto, impedito l’accesso alle cariche pubbliche), ma anche un insieme di usanze barbare che sprofondarono l’ex impero Ming nelle tenebre del medioevo, dopo secoli di splendida civiltà. I Qing tentarono, anzi, di far scomparire il ricordo stesso della Cina: incoraggiarono l’uso della lingua mancese, imposero l’uso della pettinatura (il celebre codino pendente dal cranio rasato) e degli abiti tradizionali del loro popolo, reintrodussero feroci usanze delle genti mongole, come la famigerata fasciatura con la quale si deformavano i piedi alle neonate. la politica interna, debole e dissennata, portò l’impero ad una pesante crisi economica, che condusse allo spopolamento delle campagne, ad un altissimo tasso di disoccupazione ed alla comparsa di potenti organizzazioni malavitose. Per aggravare il quadro generale, frequenti guerre e disastrose calamità naturali funestarono la Cina d’allora.
Come conseguenza a tale stato di cose, sorsero, tra i sudditi cinesi, movimenti clandestini di resistenza, dapprima concentrati nel Nord dell’Impero. Molte società segrete, come “la sciarpa rossa”, “il grande pugnale”, “gli otto trigrammi” ed i “boxers” famosi per l’omonima rivolta culminata nei “55 giorni di Pechino”, facevano capo alla potentissima organizzazione del “loto bianco”, che a sua volta, si appoggiava ai monaci Shao Lin.
Il monastero di Shao Lin, fondato dall’imperatore Xiao Wen, nel 495 d.c., sorse sul monte Song, “l’ombelico del mondo”, nell’odierna provincia dello Henan. Creato come centro per la traduzione di testi sacri buddisti, fu sotto la direzione del semileggendario Bodhidarma (Ta Mo per i cinesi)(VI° secolo d.c.), la culla del buddismo Chan (Zen). Importante museo di cospicue opere d’arte, il monastero è fin d’almeno l’epoca tang (618 -907 d.c.) celeberrimo per l’abilità dei suoi bonzi nelle arti marziali. Sotto i Qing, ai monaci venne severamente vietata la pratica delle arti marziali, ma i religiosi, impegnati a sostenere i ribelli, continuarono ad addestrarsi in segreto.
Alcuni bonzi di Shao Lin si trasferirono nella provincia meridionale di Fu Jian, che, difesa da un ex generale Ming, Chen Zhen-Gong, ancora resisteva ai Manciù. Colà giunti, edificarono, in località di difficile accesso, un monastero fortificato, che chiamarono “Siu Lam” (termine, che nel dialetto cantonese della Cina del Sud, corrispondeva a Shao Lin, propriamente detto in lingua “Pinin”). Quì si diedero ad insegnare le arti marziali a quanti desideravano combattere la dinastia straniera e usurpatrice. Per occultare le loro attività, i monaci obbligavano i loro allievi a rasarsi il cranio e vestire come bonzi. La lotta contro i Manciù si protrasse finchè sul trono salì il terzo imperatore Qing, Kangxi. Coltissimo valoroso e giusto, il nuovo sovrano si conciliò la simpatia degli stessi cinesi sottomessi.
Durante la guerra contro i tibetani eleuti, Kangxi ottenne, addirittura, la collaborazione dei monaci di Siu Lam. ma il valore guerriero dei bonzi insospettì due dignitari Manciù, che indussero l’imperatore ad espugnare il convento ed a sterminare gli abitanti. La battaglia contro i monaci di Siu Lam fu vinta dalle truppe imperiali con l’ausilio di un bonzo traditore, chiamato dalla tradizione “il numero sette” perchè era il settimo della gerarchia nel pugilato. Cinque monaci, tuttavia, sfuggirono all’eccidio, dopo una fuga davvero avventurosa. Fomentate, senza successo, alcune rivolte, essi decisero di separarsi, fondando, ciascuno, una particolare scuola di arti marziali, col proposito di creare un metodo di combattimento con cui vendicarsi del “numero sette” e dei Manciù.
Chi Shin, che a Siu Lam era stato maestro di meditazione, preservò il sistema di pugilato praticato al convento. Nascosto sulla giunca di una compagnia di attori, fomentò rivolte in ogni località in cui si trovò a soggiornare. Il suo metodo di Kung Fu, oggi, è noto come Siu Lam, in cina, e Thiu Lam in Vietnam.
Allievi di Chi Shin furono Hung Hee-Gung, fondatore dello stile “Hung Gar” e Föng Sai Yuk, ideatore dello Hung Kuen. Questi due metodi di Kung Fu, assai simili fra loro, vengono spesso, ritenuti espressioni tra le più pure dell’antico sistema di Siu Lam.
Alla monaca Ng Mui, esperta dello stile Mui Fa Chuan si attribuisce la creazione dei fondamenti pugilistici che permisero alla sua allieva, Yim Wing Chun, di elaborare il metodo Wing Chun, ancora oggi considerato tra i più efficaci sistemi di combattimento marziale cinesi.
Miu Hin, un altro dei superstiti di Siu Lam, forse un servitore, preservò le tecniche di combattimento con i “bart jarm dao”, o coltelli degli otto tagli. Queste armi sono pesanti mannaie con un robusto guardameno, che funge anche da tirapugni, ed uncino in corrispondenza dell’elsa, utilizzato per afferrare e spezzare le armi degli avversari.
Il caratteristico nome delle lame, deriva dal fatto che otto erano i principali bersagli che, con esse, si colpivano.
I bart jarm dao sono particolarmente utilizzati nelle scuole di Wing Chun, Choy Lee Fut ed Hung Gar, ma si ritrovano anche in altri stili di kung fu.
Tra i reduci di Siu Lam v’erano due taoisti, Fun ToTak e Pak Mei. Quest’ultimo creò il Pak Mei Pai, uno stile di Kung Fu, che per quanto sia tradizionalmente annoverato fra le due arti marziai di Siu Lam, è, in effetti, un arte di combattimento taoista. Molto aggressiva, la scuola Pak Mei, utilizza, come sua caratteristica arma, il tridente per la caccia alla tigre.
I cinque monaci di Siu Lam vengono, inoltre, ritenuti i fondatori della “triade” o “lega di Hung” (Hung Cha), una società segreta, violentemente ostile ai Manciù. Organizzatissimi, spietati, fedeli al proprio codice d’onore fino all’estremo sacrificio, i membri della triade, sostentandosi con attività malavitose condotte ai danni degli invasori, diressero un numero veramente cospicuo di rivolte. Tra loro, gli adepti della società clandestina stipulavano un patto di fraterna amicizia nel momento stesso in cui, nel corso della sontuosa cerimonia d’inizazione, sottoscrivevano ai rituali “trentasei giuramenti”. Un linguaggio criptico, assai colorito, insieme a particolari gesti, documenti e capi d’abbigliamento, permettevano il reciproco riconoscimento fra gli affiliati di “logge” diverse della stessa triade. Ciascun gruppo di ribelli possedeva, al suo interno, una gerarchia strutturata in nove livelli, dal più basso (informatore) al più alto (dragone o capo della loggia).
Tutti gli affiliati alla società segreta venivano addestrati alle arti marziali. L’insegnamento del Kung Fu agli adepti della triade veniva affidato ad un esperto maestro d’armi, che riceveva il titolo onorifico di “brandello rosso” o “bandiera azzurra”.
Cenni storici sulla nascita dello stile Choy Lee Fut
Lo stile Choy Lee Fut fu fondato nel 1836 dal Gran Maestro “Chan Heon Cung”.
Chan Heon, naque a King Mui nel 1808, un villaggio facente parte dell’area di “Ai Sai” a sua volta appartenente al distretto di San Wui Yun. La sua famiglia contava membri anche in altri quattro paesi intorno a Canton, zona già famosa per la tradizione marziale che si tramandava dalla dinastia “Sung (960 – 1280 d.c.).
In quel periodo l’area di “Ai Sai” era divisa in ventisei villaggi, i cui abitanti erano ripartiti in gruppi, meglio definiti come “clan”, dai quali prendevano il nome, come ad esempio: Chan, Lee, Cheong, Wong, Ho, Lok, Ching, Yeong ecc.
Il “clan” dei Chan era partericolarmente prosperoso ed i suoi componenti risiedevano in 5 villaggi, uno dei quali appunto era appunto King Mui.
A sette anni, Chan Heon si trasferì a casa di suo “zio” (personaggio politico di spicco del villaggio) Chan Yuen Wu.
Quest’ultimo era un esperto di Fat Gar, uno stile di Kung Fu creato dai monaci del famoso monastero Shao Lin ed ampiamente diffuso nella regione del Sud. Chan Heon si appassionò subito a quest’arte marziale, tanto più ch’essa si confaceva al suo carattere turbolento. A diciassette anni, egli non trovava più rivali tra i pugili che abitavano nei dintorni. Ma, con la sua indole irrequieta, il ragazzo rischiò, in più occasioni, di cacciarsi nei guai con la giustizia. Insofferente delle prevaricazioni esercitate dai prepotenti, si trovava, spesso coinvolto in litigiosi intrighi. Le sue imprese divennero lo spasso dei concittadini, ma, alla lunga, finirono per infastidire la gente del suo clan ed impensierire il tutore.
A questo punto, Chan Yuen Wu ricorse ad un sistema drastico: affidò il nipote ad uno stimato mercante di nome Lee Yau San. Questi, responsabile dei dodici clan situati nell’area di Ai Sai, avvalendosi di una forte influenza politica, era in segreto a capo della setta segreta e antigovernativa conosciuta come “triade”.
Garantendo per il giovane, Chan Yuen Wu si raccomandò con l’amico e maestro Lee di ostacolare la pratica delle arti marziali di Chan Heon inducendo quest’ultimo a dedicarsi alla sua formazione commerciale. Ma ben presto, Chan Heon riprese ad agire impulsivamente, a dispetto dei sensati consigli del suo nuovo tutore. Anzi prese addirittura ad osteggiare le autorità mancesi, creando più volte situazioni compromettenti e pericolose, per la posizione politica di Lee Yau San. Più tardi scoprì che Lee Yau San era stato a suo tempo istruttore interno nel monastero dell’ordine Shao Lin nel Fat San, così tanto insistette che il mercante pur riluttante, dovette accettarlo come allievo.
Chan Heon in tutto segreto venne addestrato dal maestro con la promessa di sottostare a determinate condizioni e restrizioni. Il giovane che pur frenando i propri entusiasmi progrediva fulmineamente accattivandosi la simpatia del suo tutore e maestro, all’età di vent’anni si era impossessato del suo sapere marziale nello stile “Lee Gar Cün” (stile anche questo derivante dalla scuola Shao-Lin).
Essendo ormai un dato di fatto che tutti gli esperti di “Fat Ka”, come coloro che praticavano un’arte marziale derivata da quella di “Siu Lam” (Shao Lin), fossero in qualche modo implicati con la “triade”, gli eventi portarono anche Chan Heon, giovanissimo, ad entrare a fare parte della società segreta.
In conseguenza a ciò e per l’incolumità di entrambi, Lee Yau San decise che Chan Heon dovesse lasciare la propria dimora per fare perdere le sue tracce per qualche tempo. In tal senso lo inviò alla ricerca di un monaco, suo conoscente, che avrebbe certamente dato rifugio al giovane.
Venuto a contatto con il “bonzo” Choy Fok, depositario dell’originale sistema di combattimento praticato a Shao Lin, Chan Heon potè ulteriormente completare la sua preparazione nelle arti marziali. Sul monte Lou Fu, dove il religioso si trovava in ritiro segreto, Chan Heon apprese tutti i segreti del pugilato Shao Lin; in particolare, fu iniziato alle tecniche respiratorie dei monaci, che raggruppate in quattro sequenze di esercizi, costituivano l’arte del “Lo-Han Qi Gong” (rafforzamento dell’energia vitale dei discepoli di Budda).
Ormai esperto combattente, durante un allenamento, il ragazzo ebbe una intuizione che gli permise di migliorare il suo Kung Fu. Perplesso sull’antica teoria che prediligeva il singolo colpo risolutore e dalla solida elasticità delle posizioni tramandata dai monaci del tempio di Shao Lin, egli cominciò ad elaborare con intuizione il concetto denominato “lin uan”, (rapidità consecutiva d’azione combinata con l’estrema mobilità negli spostamenti); che in seguito si sarebbe rivelato straordinariamente sconvolgente.
Illustrata la sua personale intuizione al proprio maestro Chan Heon sbalordì a tal punto il monaco che questi volle egli stesso collaborare all’applicazione del nuovo concetto.
Raggiunto l’apice della sua preparazione Chan Heon si concentrò quindi, su volere della sua guida all’approfondimento spirituale per mezzo degli insegnamenti filosofo-religiosi del buddismo “chan”. L’insieme delle conoscenze così acquisite maturò definitivamente il discepolo che all’età di ventisette anni lasciò definitivamente il “bonzo” in qualità di maestro, per ritornare al suo villaggio d’origine.
Ed anche se nel 1836 fondò ufficialmente il suo sistema, per altri tre anni lavorò assiduamente per perfezionarlo. Ben presto, Chan Heon fu consapevole di avere creato un nuovo sistema di combattimento, ma, come era tradizione nelle arti marziali cinesi, umilmente, non se ne attribuì il merito. Decise, infatti, di chiamare il suo Kung Fu commemorando i nomi dei propri maestri. Era nato il “Fat Ca” di Lee Yau san e Choy Fok”, ovvero il Choy Lee Fut.
Chan Heon perfezionò ulteriormente la sua creazione aggiungendo ai tradizionali colpi del pugilato Shao Lin il suo particolare tipo di pugno a “freccia”; un colpo portato con le nocche della seconda falange articolare della mano, che in seguito, dalle generazioni che successero al fondatore, venne contraddistinto come “Chan Heon choy”, appunto il pugno di Chan Heon.
La sua precedente teoria, si conceretizzò ulteriormente ed il suo concetto di fondere l’attacco e la difesa in un singolo gesto, superò l’idea della parata come opposizione di forze, a favore, invece di: schivate, colpi d’anticipo e d’incontro, movenze dinamiche e serrate, senza soluzione di continuità.
Ne risultò un sistema di combattimento veloce, pratico ed aggressivo, caratterizzato da un apparenza estremamente fluida che celava la reale, enorme, potenza delle tecniche.
Sempre più coinvolto nella lotta contro i Manciù, Chan Heon, grazie alle sue doti di carattere ed alla sua fama di abile combattente, fu designato a coordinare le attività sovversive di dodici gruppi familiari aderenti alla Triade. In seguito, il giovane raggiunse addirittura il grado di “dragone” della sua loggia d’appartenenza.
La sua sete di sapere non si arrestò mai e il suo stile crebbe ulteriormente, allorchè applicò alcuni principi teorici derivati dal suo desiderio di approfondimento filosofico, che lo avvicinò al “Taoismo”.
Chan Heon aprì la sua prima scuola per insegnare il nuovo stile nel tempio del suo villaggio. Il suo Choy Lee Fut si diffusse ben presto in tutta la Cina meridionale. Ma fatti come, la guerra dell’oppio prima, conclusasi con la sconfitta dell’esercito cinese nel 1842, e le continue lotte interne per la destabilizzazione del potere usurpatore “Qing”, interruppero l’espansione della scuola ,così compromessa con il “Tai Ping Tien Kuo”, il movimento secessionista, che si opponeva al governo in carica in alleanza ai movimenti segreti della triade e guidato da “Hung Siu Cheun”. Alla sconfitta di quest’ultimo avvenuta nel 1864, troppo esposto egli stesso come pure la sua scuola, Chan Heon e la sua famiglia espatriò, per recarsi negli Stati Uniti, dove risiedette per alcuni anni in tutta segretezza. Fece ritorno al suo paese di origine dopo quattro anni e potè constatare, con suo grande entusiasmo, che la superba abilità dei suoi esponenti aveva reso il Choy Lee Fut ben noto anche nella Cina del Nord. Quì, la scuola era nota con il nome di “Tzai Li Fo” (nel linguaggio “pinin”).
Per molto tempo ancora, il Choy Lee Fut restò legato alle società segrete. La grande cautela dei praticanti di questo particolare stile di Kung Fu nel riconoscersi a vicenda , è testimoniato, ancora oggi, da particolari monosillabi pronunciati dai pugili durante gli esercizi, che un tempo costituivano una sorta di parola d’ordine.
L’influsso della società segreta sul Kung fu di Chan Heon traspare sotto diversi aspetti. Per esempio, i complicati gesti rituali con i quali, all’inizio degli esercizi, si rende onore alla memoria dei maestri progenitori dello stile, richiamano i segni di riconoscimento in uso presso gli adepti della triade.
Attualmente il Choy Lee Fut si distingue in tre ramificazioni, delle quali due sono le più diffuse. Di queste ultime, l’una è denominata con l’appellativo “hung shing” e l’altra “pak shing”.
Lo “hung shing Choy Lee Fut” è la versione originale dello stile, trasmessa di generazione in generazione tal quale il fondatore l’aveva strutturata. Comprende oltre cento quaranta esercizi di “forma” (sequenze di tecniche simulanti un combattimento ipotetico contro più avversari da eseguirsi singolarmente), nonchè le serie di assalti a difese convenzionali, per l’allenamento in coppia, il maneggio di numerose armi bianche, l’addestramento con l’ausilio di particolari manichini ed, infine, i sistemi tradizionali di respirazione e condizionamento fisico.
Il “pak shing Choy Lee Fut” è opera del maestro “Tam Sam”, un allievo di Jeong Jim a sua volta, discepolo diretto di “Chan Kun Pak (primogenito di Chan Heon) ed istruttore inviato in “Fat San”, provincia del Sud-Est a diffondere lo stile. Tam Sam, che per la sua straordinaria abilità in combattimento si era guadagnato l’appellativo di “sam sao”, la mano magica era particolarmente impegnato nelle cattività sovversive contro i Manchu, egli addestrava i giovani patrioti nelle arti marziali. Allo scopo di rendere più breve e più proficuo il tirocinio dei propri allievi, Tam Sam sempilificò il programma di addestramento originale del Choy Lee Fut, creando esercizi e tecniche raffinate e concise. L’interesse principale del suo sistema di addestramento era focalizzato all’autodifesa e le sue strategie evolutissime, rispondevano perfettamente alle esigenze del periodo belligerante. Alla sua morte avvenuta a causa di un agguato, i suoi allievi perseverando nell’addestramento e la causa, in memoria del loro maestro accreditarono ad egli stesso la paternità di glorie e meriti. Questi furono tali, che le generazioni successive attribuirono a Tam Sam, addirittura la paternità dello stile.
La terza ramificazione dello stile Choy Lee Fut, denominata “Hüng Shing”, ebbe luogo con l’avvento della seconda generazione, quest’ultima branca dello stile non discorda molto, tecnicamente e programmaticamente, dalla prima ed omonima.
Tutte le scuole di Kung Fu, accanto alle tecniche di combattimento a mani nude, prevedono l’addestramento al maneggio di armi bianche. Tra queste ultime, alcune, come le lance, le spade, le sciabole e le mazze ferrate, derivano da quelle in uso presso gli eserciti antichi. Molte di tali armi hanno origini nobili; per esempio, il bastone snodato a tre sezioni fu ideato dall’imperatore Tai Zu, fondatore della dinastia “Song” (960 – 1279 d.c.), mentre l’alabarda “quan tao” venne creata dal duca “Quan Yu nell’epoca dei “Tre Regni” (220 – 280 d.c.). Nel Fat Ka, così come nelle altre arti marziali derivate da quella Shao Lin, oltre alle armi suddette, si studiavano anche quelle in uso presso i bonzi di Shao Lin, come i coltelli dagli otto tagli, i “cha”, sorta di piccoli tridenti, i “piao” minuscoli dardi a forma di stella, nonchè il celebre bastone a “coda di topo”, nel maneggio del quale i monaci erano ritenuti imbattibili.
Nell’arsenale del Choy Lee Fut comunque sono presenti un vasto numero di armi ed attrezzi non convenzionali, come appunto catene piombate e fruste a segmenti d’acciaio. Queste armi, un tempo utilizzate dalle guardie del corpo dei personaggi in vista per colpire eventuali attentatori tra la folla, vennero adottate dai membri delle società segrete in ragione della loro facile occultabilità.
Anche lo studio sistematico di oggetti d’uso quotidiano trasformati in strumenti letali, frequente nel Choy Lee Fut, era una pratica caratteristica delle organizzazioni sovversive cinesi.
Altre, particolarmente efficaci erano i falcetti, i bastoni per piantare i tuberi (kuai) ed i correggiati per la battitura del riso (seon cit quan). Armi, che già adottate nel Fat Ka, sono tutt’oggi presenti nel Choy Lee Fut.
Particolari della scuola fondata da Chan Heon furono, invece due caratteristici strumenti: il ventaglio pieghevole e la panca. Nel Choy Lee Fut esistono due tipi di ventaglio usati per il combattimento: uno è quello comune, l’altro ha le stecche in acciaio e può arrivare a pesare oltre il kilogrammo. Le tecniche con queste armi sono velocissime e potenti. Nell’ambiente del Kung Fu, spesso il Choy Lee Fut viene definito “lo stile dei ventagli”, in riferimento alla sua tipica arma.
La panca, già nota, come oggetto contundente dalle innumerevoli possibilità di maneggio, attraverso le scene d’azione del teatro cinese, divenne una vera e propria arma quando Chan Heon ne stabilì i criteri fondamentali d’impiego nell’attacco e nella difesa. Apparentemente poco agevole da utilizzare in combattimento, la panca può dimostrarsi, se sapientemente impiegata, insospettabilmente adatta a qualunque tipo di tecnica.
Chan Heon morì il 20 agosto del 1875, lasciando l’eredità del sistema al suo primogenito “Kun Pak”.
Attualmente il Choy Lee Fut, pur essendo stato riunificato, per decisione unanime dei vari capiscuola riunitisi in Hong Kong in occasione del convegno mondiale nel 1979, resta a tutt’oggi uno stile diviso in tre grandi lignaggi.
I tre responsabili preposti alla sua diffusione sono oggi Il Gran Maestro Wong Gong, per la scuola “Hung Shing”; il Gran Maestro Chang Chiu Yiu, per quella “Pak Shing; ed il Gran Maestro Loo Kee, per la scuola “Hüng Shing”.
Da questi e per essi stessi, il maestro Isidoro Li Pira, facente parte della 5° generazione depositaria, ha attinto diventando loro discepolo diretto, ed insegna per la salvaguardia dello stile nella sua più pura integrità.